Mozambico, il missionario: “Il gas costa caro, anche in vite umane”
ROMA – “Con la guerra in Ucraina il gas del Mozambico costerà molto di più, forse anche in termini di vite umane, con nuovi rischi di instabilità per l’avvio della produzione previsto entro fine anno”: a parlare è don Silvano Daldosso, missionario “fidei donum” veronese, raggiunto dall’agenzia Dire nel nord del Mozambico.
La sua voce arriva via WhatsApp, dalla provincia di Nampula, immediatamente a sud di quella di Cabo Delgado: è lì, nell’estremità settentrionale del Paese, a ridosso della frontiera con la Tanzania, che si concentrano sia i progetti di sfruttamento dei giacimenti di gas naturale da parte delle multinazionali sia il conflitto armato con i ribelli noti come “Al Shabaab”.
UNA SITUAZIONE TESA
“La situazione resta tesa” premette don Daldosso, 45 anni, in Mozambico dal 2007, ora nel distretto di Memba, quello più vicino a Cabo Delgado. “Tre settimane fa per la prima volta un gruppo di ribelli ha oltrepassato il fiume Lurio che segna il confine naturale della provincia: nel raid sono state saccheggiate case e baracche, rubate scorte di farina e riso e ferite almeno due persone”.
Secondo il missionario, gli assalitori sono poi rientrati nelle loro basi di Cabo Delgado. Un fatto, questo, che confermerebbe un ampliarsi dell’area colpita dal conflitto. “Il governo di Maputo sostiene che anche grazie al supporto fornito da truppe del Ruanda e della Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe i ribelli sono in rotta, costretti a disperdersi e a cercare altri rifugi” sottolinea don Daldosso. “C’è però anche un’altra lettura possibile: i militari stranieri presidierebbero di fatto solo le installazioni energetiche dell’area della penisola di Afungi, dove sono presenti multinazionali come la francese Total Energies, l’americana Exxon Mobil e anche l’italiana Eni, mentre il resto di Cabo Delgado resterebbe in preda dall’insicurezza”.
A supportare questa tesi sono le disposizioni che a giugno imponevano l’utilizzo di scorte perfino per raggiungere la capitale provinciale Pemba, molto più a sud rispetto all’area dei giacimenti. “E’ anche possibile che il fatto che i ribelli abbiano oltrepassato il Lurio, entrando nel distretto di Memba, un’area presidiata da almeno 300 militari mozambicani di reparti anti-terrorismo, sia stato un messaggio al presidente Felipe Nyusi” dice don Daldosso. “Di recente, come hanno riferito media locali e internazionali, il capo dello Stato ha sostituito dirigenti dei servizi segreti“.
MATTARELLA IN VISITA IN MOZAMBICO
Il conflitto di Cabo Delgado resta sullo sfondo della visita in Mozambico del presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella. Al suo arrivo a Maputo, il capo dello Stato ha sottolineato l’importanza dell’”amicizia” tra i due Paesi. Un riferimento, questo, anche al ruolo avuto dell’Italia e dalla Comunità di Sant’Egidio per la firma dell’accordo di pace che nel 1992 mise fine al conflitto civile deflagrato 17 anni prima dopo l’indipendenza del Mozambico dal Portogallo. La visita di Mattarella è stata però collocata dai media anche nel contesto della necessità di un rafforzamento delle alleanze italiane in Africa alla luce del conflitto in Ucraina, con il taglio delle esportazioni di gas da parte della Russia.
AUMENTA IL PREZZO DEL GAS, AUMENTANO I RISCHI
Secondo don Daldosso, sull’entrata in produzione dei giacimenti di Afungi e su eventuali nuovi approvvigionamenti per l’Italia pesa più di un’incognita. “Con la guerra in Europa il gas del Mozambico vale ancora di più e con l’aumento del prezzo aumentano pure i rischi” il monito del missionario. “Speriamo che i costi non siano troppo alti, per gli acquirenti e per i mozambicani: penso all’ambiente ma anche alle vite umane“.
Un inasprirsi del conflitto a Cabo Delgado è stato denunciato in settimana anche dal Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr). Secondo l’organizzazione, aiuti di emergenza sono stati distribuiti a circa 6mila persone costrette a lasciare le loro case nel distretto di Ancuabe, a ovest del capoluogo provinciale Pemba. “Intere famiglie sono fuggite senza nulla” ha riferito Abdirizak Ahmed Maalim Mohamednoor, coordinatore locale del Cicr. Nel complesso, sempre stando alla Croce Rossa, gli sfollati a causa delle violenze di Cabo Delgado sono circa 780mila.
[ Agenzia di Stampa Nazionale DIRE – https://www.dire.it/]
>23 Aprile 2022; ore 8:30 Nella Parrocchia di Cavà dove opera il nostro Don Silvano Daldosso, si sono celebrati con grande festa, i 50 anni di istituzione della Parrocchia. Momento memorabile, alla presenza del Vescovo e delle autorità ecclesiastiche e civili, che culminerà a breve, con il saluto a Don Silvano. Egli ha svolto il suo lungo ministero inizialmente a Namahaca e di seguito a Cavà e Memba e proseguirà il suo servizio in un’altra zona del Mozambico. Grazie a Don Silvano e una preghiera per lui e tutta la sua gente in terra d’Africa.
“Non c’è passione nel vivere in piccolo, nel progettare una vita che è inferiore alla vita che potresti vivere.” (Nelson Mandela )
Con questa frase di uno dei più grandi uomini africani e forse dell’umanità intera, apro questa mia “lettera aperta” a voi tutti amici, conoscenti, parrocchiani e a quanti seguono la missione.
Circa due anni fa ho iniziato un discernimento interiore su quanto sto vivendo, un discernimento che è culminato con una esperienza di vita in uno dei miei villaggi per quasi un anno (2021) durante la pandemia in cui non era possibile portare avanti le normali attività pastorali. Tra la mia gente, vivendo in una capanna ho fatto esperienza di Dio e di solitudine oltre che di tanta povertà. Ne ho ricavato un bilancio sicuramente positivo e ricco di grazia divina, ma mettendo insieme vari elementi sono giunto anche ad alcune conclusioni.
Vivendo in questa povertà “più spinta” per me ancora profondamente occidentale nei costumi, mi sono reso conto che dopo 15 anni di vita missionaria e 12 anni in questa seconda missione di Cavà mi stavo adagiando, sedendo, prendendo le misure, fissando certezze, assimilando competenze, perpetrando schemi, organizzando secondo il ritornello del “si è sempre fatto così”…. Insomma, un piccolo nido caldo!
Ho passato al vaglio le esperienze vissute dal mio arrivo in questa missione nel 2010 ad oggi! Quante meraviglie! Quante “scalate” Dio mi ha permesso di fare assieme alla mia gente! Si è fatto tanto e il popolo Macua mi ha spianato la strada, mi ha sempre accolto e rialzato dopo ogni caduta. Ci sono state anche tante sfide vinte, altre
Figura1:PermanenzanelvillaggiodiMinhawene2021
perse, successi e frustrazioni…ma tutto è opera di Dio! La gente mi vuole un bene immenso che non penso di meritare, è nata fiducia e stima reciproca e si lavora bene assieme. In questo 2022 festeggiamo 50 anni di fondazione della missione e sono in corso tante belle iniziative in cui la mia gente sa rispondere come solo lei è capace. Ho davvero imparato tanto e sono diventato un po’ più uomo dando qualche scossone anche alla mia fede ancora vacillante e insicura.
Ultimamente però sentivo di “fare il parroco” secondo una routine oramai collaudata e così l’estate scorsa ho dato corpo al mio discernimento mettendo tutte le cose in fila approfittando anche dello stacco per il rientro in Italia durante le ferie. Ho avuto modo di confrontarmi con la mia guida spirituale e con vari amici, laici e preti e ho analizzato a fondo la situazione della mia missione e di me stesso.
Sono giunto così a concludere che la missione di Cavà-Memba compie 50 anni, fondata nel 1972 da un padre Comboniano originario di Verona. Dal 1994 fino al 2010 è stata affidata a un prete fidei donum della Sardegna, don Ottavio e dal 2010 ad oggi è nelle mani della diocesi di Verona che vi ha inviato il sottoscritto. Sono stati 50 anni di annuncio missionario in cui si sono messe le basi del Vangelo, si sono costruite strutture e si è dato corpo alla pastorale. Attualmente le 47 comunità che formano la missione sono ben organizzate con i vari ministeri laicali. I processi formativi della catechesi e delle formazioni ministeriali sono una realtà costante e viva. Insomma, mi sono reso conto che Cavà stava diventato sempre di più “mia” e che gli stimoli iniziali non c’erano non per mancanza di volontà, ma per il fluire normale delle cose che hanno preso un equilibrio stabile. Per la prima volta mi sono sentito “troppo sicuro” del “mio luogo”. Mesi fa ho meditato su un libro che racconta la vita di S. Francesco che avevo riletto già quattro volte! Stavolta mi ha colpito profondamente la parte in cui S. Francesco entra in una profonda crisi personale. L’ordine francescano stava crescendo a vista d’occhio, il numero dei fratelli era sempre più numeroso e iniziavano a nascere esigenze di studio, di conventi, di regole…. Francesco non voleva perdere l’ideale della povertà e ne nasce uno scontro interno all’ordine. Francesco si sente isolato ed entra in crisi. Santa Chiara lo aiuterà ad uscire da questo stallo spirituale facendogli notare che si era legato troppo all’ideale della sua opera facendolo diventare più importante di Dio stesso. L’ordine, la povertà, la provvidenza pur essendo nobili ideali non potevano prendere il posto di Dio. Così Francesco si allontana dalla dirigenza dell’ordine, lascia fare, si libera da tutto questo e si dedica all’incontro con Dio e così può rinascere nell’anima.
Ho sentito molto vera per me questa meditazione. Ho sentito che anche l’opera più nobile e bella non può offuscare o rallentare l’ideale di fondo dell’annuncio del Gesù che salva.
Così, con animo sereno e nelle mani di Dio, ho concluso che forse Cavà e Memba hanno raggiunto l’età adulta e possono essere finalmente consegnate al clero locale per poter crescere e maturare ancora di più. Sento anche che il mio compito in questa missione ha raggiunto una completezza, la mia anima ha bisogno di nuovi stimoli e di nuove sfide. Continuare qui in questa missione sarebbe di sicuro bello, giusto, stabilizzato, piacevole, confortevole…sarebbe forse il tempo della raccolta di quanto si è seminato o almeno di una parte. Ma sento che forse lo Spirito di Dio mi spinge altrove, così come dev’essere la vita del missionario.
Ho chiesto così ai rispettivi Vescovi, di Verona e Nacala, di poter consegnare questa missione, ma anche di continuare la mia permanenza in terra di missione. Sento che il Signore mi chiama ancora a questa realtà africana e che per ora posso essere utile qui dove mi sento di casa.
Quindi consegnerò questa missione nel prossimo mese di agosto per mettermi disponibile per altri destini. All’inizio del mio discernimento pensavo di rimanere nella stessa diocesi di Nacala per rimanere in un ambiente conosciuto, con persone e clero che conosco. Il Vescovo di Nacala mi aveva già suggerito alcune parrocchie dove attualmente non c’è nessun prete residente. Successivamente, però, si sono aperte altre porte e altri inviti, in particolare quello del Vescovo della diocesi di Gúruè, nella provincia della Zambezia, 600 Km più all’interno, al centro del Mozambico. La diocesi esiste dal 1993, con oltre 2 milioni di abitanti e con solo 25 parrocchie che hanno estensioni immense e una cinquantina di sacerdoti. Ho ricevuto questa proposta che mi ha abbastanza ribaltato spiritualmente perché si tratta di un’esperienza ex novo, in un territorio ignoto, con una realtà diversa, un clero che non conosco, una lingua abbastanza diversa da quella che uso ora… è iniziare quindi da quasi-zero. Si tratta di un piccolo salto nel vuoto, di una sfida, di una nuova scalata…e subito mi è piaciuta. Mi sono confrontato con varie persone, ci ho pregato su e alla fine ho scelto per questa parte che mi porta a un taglio completo con l’esperienza precedente e mi lancia un nuovo guanto di sfida. Il Vescovo di Gúruè vorrebbe iniziare con me l’esperienza dei preti missionari fidei donum che nella sua diocesi non c’è ancora. Mi sembra
Figura2: Trale montagne di Gúruè con il Vescovo Dom Inácioe il Vicario Generale
un bel obbiettivo. Credo che lo Spirito Santo stia soffiando. Considerando quindi questo cambio radicale ho ritenuto opportuno farlo precedere da uno stacco formativo. Dopo 15 anni di esperienza missionaria senza interruzioni vorrei provare a verificarla prima di iniziarne una seconda. Così ho inoltrato al Vescovo di Verona una seconda richiesta che è quella di fare un anno di corso di Missiologia all’Università Urbaniana a Roma per poter analizzare il mio vissuto missionario e rileggerlo stando in un luogo neutro in modo che l’anima possa lasciar decantare il vissuto e interpretarlo con delle chiavi ermeneutiche.
Così se il Vescovo renderà davvero possibile questo piccolo sogno rientrerò in Italia nel prossimo agosto per iniziare l’esperienza di studio a Roma in ottobre e rientrare poi in Mozambico, nella nuova missione, a fine 2023.
Ringrazio Dio per voi tutti che sempre mi accompagnate con l’affetto e la preghiera da tanti anni e che portate la missione nel cuore tutti i giorni. GRAZIE per il vostro sostegno. Vi chiedo di portare nella vostra preghiera il mio futuro che vi ho appena condiviso facendolo diventare un’offerta gradita a Dio.
Tutto è nelle mani di Colui che ci chiama a rimanere con Lui e a dar vita a una Chiesa in uscita!
Il mio organismo schiva per pochi istanti lo stridente squillo della sveglia e ha giusto il tempo per uscire dalla falsa realtà onirica ed inserirsi di nuovo nel mondo reale.
Un passaggio alle volte alquanto traumatico e destabilizzante da fare a questa latitudine africana che si affaccia sull’immensità dell’Oceano Indiano che spesso mi fa rivedere immagini fantastiche di un passato di invasioni marittime di arabi e portoghesi, nemici sociali ma entrambi accomunati da sfruttamento, commercio di schiavi e prodotti.
Ritornare alla realtà a volte è un pugno allo stomaco, un risveglio violento con una realtà affascinante e allo stesso tempo crudele. Alle mie narici non giunge il sapore del caffè o di qualche buon panettone appena tagliato, ma l’aria calda dei 26 gradi mattutini che arriveranno nelle ore successive a 38/40 con un’umidità del 80%. Il mio sistema neuronale, concepito in montagna, mi tortura con fantasie di cime innevate e candide piste da sci che spariscono dalla mente appena mi lavo la faccia con l’acqua a temperatura ambiente e mentre mi asciugo il viso inizio a versare le prime gocce di sudore che mi accompagneranno fino alle due del mattino successivo.
Sta albeggiando e la mia gente fuori è in movimento già da qualche ora, stanno terminando le manutenzioni ai tetti delle capanne e preparano i campi ad accogliere la fecondante pioggia che bagnerà i poveri semi che valgono come un’assicurazione sulla vita di tutta famiglia.
Figura 1: Momento della celebrazione penitenziale
Mi vesto senza percezione di quello che faccio in modo automatico con la maglia che già si incolla alla pelle col sudore. Nella mia mente corrono veloci le immagini degli impegni della giornata, di quello che devo fare o preparare. Mi soffermo qualche istante sul pensiero delle confessioni che ho programmato in vista del Natale nelle sei zone della missione che raggruppano ciascuna 8-10 comunità. Quest’anno non farò la confessione individuale ma darò l’assoluzione generale. No, non è per il Covid-19…di quello ci siamo quasi dimenticati che esista, abbiamo ben altre lotte da fare, ma forse per dare “del nuovo” al sacramento della confessione, perché sia davvero un incontro personale con Dio senza intermediari. La celebrazione penitenziale che ho pensato prevede delle letture, alcuni salmi, riflessioni e un gesto semplice ma toccante. La gente che vi partecipa ad un certo punto è invitata a togliersi un vestito che ha addosso: la camicia, le ciabatte, il cappello, la capulana (stoffe usate dalle donne) e a metterlo davanti all’altare per farne una culla su cui, alla fine, appena dopo l’assoluzione generale dei peccati, ci viene appoggiato un bimbo, simbolo di Gesù che nasce nei nostri poveri stracci intrisi di pianto, sudore e allegrie. Questo gesto piace molto alla gente, è immediato, concreto e ci ricorda la grandezza di Dio in un’azione piccolissima. Abbandono il pensiero delle confessioni appena poco prima di entrare in cappella per la preghiera.
Mentre giro le chiavi nella toppa della porta scruto il cielo. Ancora cielo limpido manaccia! La stagione delle piogge è in ritardo. Ma dove si saranno cacciate! La natura è contratta in un arido crampo di sete. Tutto è arido e sterile e ogni essere vivente si ritrova in questo sforzo di attesa per poter bere, bagnarsi, nutrirsi, crescere, riprodursi… VIVERE! Mi affiora un ghigno sulle labbra e mi viene da sorridere dalla tristezza pensando che la mia gente ATTENDE non le feste, non le cene di Natale, non le ferie, non le tredicesime, non i regali MA l’acqua per vivere e basta! Se non avessi in mano la maniglia della porta della cappella potrei forse imprecare contro questo cielo arido, pulito, azzurro, senza una nube. Quante volte in Italia ho maledetto i giorni di pioggia e ora li desidero come elemento vitale. L’anno scorso abbiamo vissuto un anno di fame terribile che di sicuro comprometterà le semine dei prossimi giorni visto che le sementi escono dalla produzione dell’anno precedente e saranno perciò scarse o inesistenti. La gente in questo periodo riduce il cibo a un pasto
Figura 2: Celebrazione in una comunità
al giorno e spesso pure con metà piatto vuoto. Si resiste e si guarda il cielo in silenzio, per rispetto, ma nel cuore di ognuno di loro ne sento il grido straziante di supplica.
“Dio è grande e sa tutto”, con questa frase la mia gente Makua quieta lo sconforto. Sono mesi di digiuno…Noi qui digiuniamo in Avvento per il tempo della fame e mangiamo in Quaresima quando i campi iniziano a dare i primi raccolti. Papa Francesco dovrebbe permetterci di rovesciare l’anno liturgico! Sono sicuro che la mia gente lo apprezzerebbe e lo interiorizzerebbe meglio.
Apro la porta della cappella e faccio un po’ di rumore aprendo le finestre per svegliare il padrone della ditta come mi ha insegnato a chiamarlo simpaticamente Don Lorenzo Milani. Mi siedo di fronte al tabernacolo e gli chiedo se per caso ha perso la vista? Se non vede in che razza di mondo siamo e di come vive la mia gente a cui devo predicare la nascita del Salvatore? Che Salvezza offro io alla mia gente? Covid, povertà, siccità, ingiustizia, che risposte vengono dal Natale? Abbandono questa povera preghiera disordinata, umana e passionale e prendo in mano la preghiera officiale della Chiesa sfogliando il Breviario che almeno mi aiuta a non dire eresie. Ben vengano gli schemi in questo caso!
Quasi un’ora dopo mi raggiungono in cappella i miei tre seminaristi che in questo tempo di vacanze scolastiche vivono qui con me. Sono tre giovani della parrocchia in cammino per il sacerdozio e per servire lo stesso popolo di Dio che sono chiamato a servire io. C’è comunione profonda con loro, parliamo spesso e anche sparliamo. Sì, facciamo pure questo peccato che i superiori del seminario non gradirebbero. Cerco di insegnare loro a pensare con la propria testa, a riflettere, ad analizzare e pure criticare se necessario. Parliamo di noi, della parrocchia, della Chiesa mozambicana e universale e delle urgenze di cambiamento. Sono giovani e intelligenti e sentono che la nostra Chiesa anche qui in Mozambico è ferma, impaurita, difende principi e non il comandamento dell’amore. I miei seminaristi vedono i Vescovi come pastori smarriti…che ne sarà del gregge? Ammirano da lontano lo sforzo di Papa Francesco che appella alla creatività pastorale e ad una Chiesa del perdono. Sognano di essere preti, ma per ora lottano contro difficoltà immani per mancanza di mezzi, studio, scuole adeguate. Ripenso al mio cammino di seminarista, penso ancora ai nostri seminari in Italia e mi chiedo se non siano una specie di paese dei balocchi ai margini della realtà. Chissà?
Figura 3: S. Messa nella cappella di Mutele
Iniziamo la celebrazione della Messa, noi quattro. Loro cantano da veri africani e sembra di essere in una cattedrale piena di gente. Le voci armoniche e cariche di vita diventano liturgia. Il piccolo altare è pieno di stoviglie…infondo non si diceva che era una cena? Sono le pissidi (in termine tecnico) piene di ostie da consacrare per le mie 47 comunità cristiane. Il 24 mattina presto ogni responsabile di comunità verrà a piedi da lontano sudato, affamato ma sorridente per il grande onore di trasportare Gesù fino alla sua comunità per la celebrazione della Vigilia e del giorno di Natale. Di solito Gesù Eucarestia finisce dentro a una qualche borsa o zaino dove si adagia su qualche pezzo di manioca o a del pesce secco appena preso al mercato. Penso che Gesù ci stia molto bene lì! Avrà nostalgia della sua Betlemme sentendo l’odore del pesce secco e magari anche di un po’ di tabacco. Sicuramente sente di essere a suo agio più che non negli ori sfarzosi delle cattedrali. La mia gente è il miglior ostensorio che potesse trovare. Qualcuno per tornare a casa guaderà qualche fiume, passerà tra la savana, si fermerà all’ombra di qualche mango a riposare, magari per strada visiterà dei famigliari ammalati, sarà un bel viaggio in mezzo all’umanità per Gesù senza baldacchini, tappeti rossi e cerimonieri a segnare la strada!
Mentre stendo le mani per consacrare tutte quelle ostie penso a dove arriveranno… Immagino gli altari dell’umanità sui cui saranno condivise. Immagino la mia gente che riceverà quell’Eucarestia con la paura nel cuore per il terrorismo che sta raggiungendo anche il nostro distretto. Da tre settimane a Memba è arrivato un contingente di 150 militari in asseto antiterrorismo. Nella Provincia di Cabo Delgado dove era iniziato tutto nel 2017 sono intervenuti i militari del Ruanda creando lo sparpagliamento dei terroristi in altre provincie. La settimana scorsa sono stati registrati vari attacchi ai villaggi della provincia di Niassa. Il governo ha distribuito questi contingenti militari nei distretti più a rischio sulla costa. Purtroppo, questa presenza non è una sicurezza per noi, ma un motivo per altri soprusi e abusi. Sono molte le persone che sono state picchiate a sangue in questi
Figura 4: Ragazza Makua
giorni senza motivo. Ogni giorno qui in casa ci giunge un bollettino di guerra. Gente picchiata o portata in carcere solo perché girava per strada dopo il tramonto. La gente è stanca e arrabbiata. Due giorni fa un militare è stato linciato dalla folla e ora è in gravi condizioni.
Questa Eucarestia avrà la forza di dare speranza in tutto questo? Me lo chiedo mentre recito le parole della consacrazione: “…. Versato per voi e per TUTTI”. Improvvisamente mi riaffiora nella mente l’immagine del bambino posto sui nostri vestiti durante le penitenziali. Sì, lo stesso Gesù Eucarestia nascerà di nuovo su questi stracci di umanità maltrattata e disumanizzata dall’odio. Tra pochi giorni avrò nella mia missione 47 piccole Betlemmi che saranno luce per la mia gente e si canterà: “Gloria a Dio nell’alto de cieli e pace in terra” e avremo la certezza che questa pace in un modo o nell’altro arriverà anche per noi e noi ne saremo gli artefici!
Vorrei invitarvi tutti tra oggi e domani e nei prossimi giorni dell’ottava di pasqua a far salire al cielo una preghiera per il MOZAMBICO ogni qualvolta accendete il gas del fornello della vostra cucina o la vostra automobile sapendo che queste fortune hanno un prezzo umano in questo momento nel nord del Mozambico.
Questo che segue, è un articolo molto completo e fa capire bene le tante cause del conflitto. –
(DIRE) Roma, 30 mar. – Ventisei tonnellate di fagioli, granturco e alimenti di prima necessita’, da consegnare in barca a vela a 570 famiglie costrette a fuggire dal conflitto nel nord del Mozambico: e’ la missione di Elena Gaboardi e don Silvano Daldosso, italiani solidali in terre ricche di idrocarburi ma ostaggio di poverta’ e violenza. Dei viaggi, uno gia’ compiuto e un altro previsto ora per la settimana dopo Pasqua, i due riferiscono all’agenzia Dire a pochi giorni dall’incursione di un commando ribelle a Palma, cittadina a circa 15 chilometri da un giacimento di gas naturale considerato il piu’ promettente dell’Africa australe. Missionaria laica, originaria di Lodi, in Mozambico dal 2011, Gaboardi parla di una traversata di quattro ore all’andata e di sei e mezza al ritorno. “Siamo partiti da Memba e abbiamo raggiunto la foce del fiume Lurio”, racconta, “accompagnando il carico della Caritas locale con un barchino a motore, d’intesa con l’Istituto nazionale per la gestione delle calamita’, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e il Programma alimentare mondiale”. Il mare e’ l’unica via possibile. “Le piogge sono arrivate tardi quest’anno, spingendo tante persone in una nuova condizione di insicurezza alimentare, rendendo le strade inaccessibili per il fango e facendo crollare ponti” dice Gaboardi. “Abbiamo raggiunto alcune zone del distretto di Memba e poi anche di Nacaroa, l’ultimo della provincia di Nampula, al confine con quella di Cabo Delgado dove e’ in corso il conflitto”. Negli ultimi mesi, insieme con la Caritas della diocesi di Nacala, i missionari avevano distribuito semi di mais e di fagioli, zappe e strumenti agricoli nella speranza di aiutare per il raccolto. Il ritardo e poi l’irregolarita’ delle piogge, pero’, hanno cambiato le cose. “E’ arrivata la grande fame e abbiamo dovuto ripartire con le consegne di cibo” dice don Daldosso, 44 anni, “fidei donum” di origini veronesi. Vive in Mozambico dal 2007 e ha conosciuto tante persone che hanno attraversato il Lurio in fuga dalle violenze. Fonti concordanti calcolano in 2.500 le vittime dall’inizio del conflitto nel 2017. Gli sfollati sarebbero invece circa 700.000, la gran parte dei quali fuggiti dalle loro case nell’ultimo anno. Un commando del gruppo Ansar al-Sunna, noto anche come Al-Shabaab, ha rivendicato la settimana scorsa l’assalto a un hotel nella cittadina di Palma nel quale alloggiavano circa 180 persone, in parte dipendenti della Total, la multinazionale francese che guida i lavori per lo sfruttamento dei giacimenti offshore. Il ministero della Difesa ha riferito di decine di vittime. Ancora ieri gli assalitori hanno sostenuto di avere il controllo della cittadina. Don Daldosso ha visto il conflitto attraverso gli occhi di chi e’ scappato, spesso senza poter portare nulla con se’. “Raccontano di incendi, massacri e fosse comuni” ricorda. “Dopo una prima fase nella quale erano prese di mira perlopiu’ sedi governative o commissariati di polizia, tra il 2018 e il 2019 a pagare il prezzo del conflitto sono stati soprattutto i civili”. Secondo il missionario, l’interpretazione dominante vuole che Cabo Delgado sia finito nelle mire dello Stato islamico, che punterebbe a creare una nuova “wilaya” con gli alleati di Ansar al-Sunna. Don Daldosso mette pero’ in evidenza un altro aspetto, sorta di paradosso della ricchezza e della poverta’. “Cabo Delgado e’ forse la provincia del Mozambico dove e’ la miseria e’ piu’ diffusa e dove scuole e ospedali mancano piu’ che altrove” sottolinea. “Proprio qui sono stati trovati i giacimenti piu’ promettenti dell’Africa australe e ora si costruiscono impianti estrattivi: la gente si pone interrogativi, chiedendosi dove andra’ a finire tutta questa nuova ricchezza”. (Vig/Dire) 13:45 30-03-21