Ventisei tonnellate di fagioli, granturco e alimenti di prima necessita’, da consegnare in barca a vela a 570 famiglie costrette a fuggire dal conflitto nel nord del Mozambico

(DIRE) Roma, 30 mar. – Ventisei tonnellate di fagioli, granturco
e alimenti di prima necessita’, da consegnare in barca a vela a
570 famiglie costrette a fuggire dal conflitto nel nord del
Mozambico: e’ la missione di Elena Gaboardi e don Silvano
Daldosso, italiani solidali in terre ricche di idrocarburi ma
ostaggio di poverta’ e violenza.
Dei viaggi, uno gia’ compiuto e un altro previsto ora per la
settimana dopo Pasqua, i due riferiscono all’agenzia Dire a pochi
giorni dall’incursione di un commando ribelle a Palma, cittadina
a circa 15 chilometri da un giacimento di gas naturale
considerato il piu’ promettente dell’Africa australe.
Missionaria laica, originaria di Lodi, in Mozambico dal 2011,
Gaboardi parla di una traversata di quattro ore all’andata e di
sei e mezza al ritorno. “Siamo partiti da Memba e abbiamo
raggiunto la foce del fiume Lurio”, racconta, “accompagnando il
carico della Caritas locale con un barchino a motore, d’intesa
con l’Istituto nazionale per la gestione delle calamita’, l’Alto
commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e il Programma
alimentare mondiale”.
Il mare e’ l’unica via possibile. “Le piogge sono arrivate
tardi quest’anno, spingendo tante persone in una nuova condizione
di insicurezza alimentare, rendendo le strade inaccessibili per
il fango e facendo crollare ponti” dice Gaboardi. “Abbiamo
raggiunto alcune zone del distretto di Memba e poi anche di
Nacaroa, l’ultimo della provincia di Nampula, al confine con
quella di Cabo Delgado dove e’ in corso il conflitto”.
Negli ultimi mesi, insieme con la Caritas della diocesi di
Nacala, i missionari avevano distribuito semi di mais e di
fagioli, zappe e strumenti agricoli nella speranza di aiutare per
il raccolto.
Il ritardo e poi l’irregolarita’ delle piogge, pero’, hanno
cambiato le cose. “E’ arrivata la grande fame e abbiamo dovuto
ripartire con le consegne di cibo” dice don Daldosso, 44 anni,
“fidei donum” di origini veronesi. Vive in Mozambico dal 2007 e
ha conosciuto tante persone che hanno attraversato il Lurio in
fuga dalle violenze. Fonti concordanti calcolano in 2.500 le
vittime dall’inizio del conflitto nel 2017. Gli sfollati
sarebbero invece circa 700.000, la gran parte dei quali fuggiti
dalle loro case nell’ultimo anno.
Un commando del gruppo Ansar al-Sunna, noto anche come
Al-Shabaab, ha rivendicato la settimana scorsa l’assalto a un
hotel nella cittadina di Palma nel quale alloggiavano circa 180
persone, in parte dipendenti della Total, la multinazionale
francese che guida i lavori per lo sfruttamento dei giacimenti
offshore. Il ministero della Difesa ha riferito di decine di
vittime. Ancora ieri gli assalitori hanno sostenuto di avere il
controllo della cittadina. Don Daldosso ha visto il conflitto
attraverso gli occhi di chi e’ scappato, spesso senza poter
portare nulla con se’. “Raccontano di incendi, massacri e fosse
comuni” ricorda. “Dopo una prima fase nella quale erano prese di
mira perlopiu’ sedi governative o commissariati di polizia, tra
il 2018 e il 2019 a pagare il prezzo del conflitto sono stati
soprattutto i civili”.
Secondo il missionario, l’interpretazione dominante vuole che
Cabo Delgado sia finito nelle mire dello Stato islamico, che
punterebbe a creare una nuova “wilaya” con gli alleati di Ansar
al-Sunna.
Don Daldosso mette pero’ in evidenza un altro aspetto, sorta
di paradosso della ricchezza e della poverta’. “Cabo Delgado e’
forse la provincia del Mozambico dove e’ la miseria e’ piu’
diffusa e dove scuole e ospedali mancano piu’ che altrove”
sottolinea. “Proprio qui sono stati trovati i giacimenti piu’
promettenti dell’Africa australe e ora si costruiscono impianti
estrattivi: la gente si pone interrogativi, chiedendosi dove
andra’ a finire tutta questa nuova ricchezza”.
(Vig/Dire)
13:45 30-03-21

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