DA NAMAHACA A CAVA’ e MEMBA

Cavá 5-5-2010

Carissimi,

a questo punto si aprirebbe tutto un capitolo su proposte e novità future, e vi assicuro che sono un sacco, ma per correttezza ancora non posso accennarvi nulla! Al momento c’è tutto in evoluzione sia sul piano pastorale, sia su quello diocesano, sia su quello parrocchiale. Ci sono delle BELLE SFIDE che si aprono davanti a noi…”Con queste parole vi lasciavo un po’ in sospeso nella mia ultima lettera, e ora, credo sia giunto il momento di aggiornarvi sui passi fatti in questi mesi.

Innanzitutto, vi dico che sto bene e sono in salute fisica e di anima! Il motivo di questa mia “clausura” in questi mesi non è stata ne cattiva volontà, ne mancanza di voglia di informarvi, ma veramente una maratona di novità e nuove sfide. Sicuramente è mancato il contatto epistolare ma non quello del cuore!

Cerco di riprendere da novembre dello scorso anno quando stavano per arrivare Emiliano e Lucia e di farvi una sintesi di questi mesi… è chiaro che tutto non si può scrivere…Più o meno con l’arrivo dei laici nella missione di Namahaca si arriva finalmente a una equipe stabile di 2 preti, 2 laici e 2 suore comboniane dopo più di 2 anni di continui cambiamenti, ma non ne gustiamo molto la festa perché allo stesso tempo si concretizzava a livello di diocesi di Nacala la data precisa in cui un certo padre Ottavio, fidei donum della diocesi di Tempio (Sardegna), avrebbe lasciato la missione di Cavá confinante con Namahaca.

Padre Ottavio era partito circa 16 anni fa dall’Italia come prete fidei donum e si era messo a disposizione del vescovo della diocesi di Nacala. Dopo quasi un anno di servizio altrove il vescovo gli chiede di occuparsi di una delle missioni tra le più disastrate. Siamo nell’imminente dopo guerra (1994), quando padre Ottavio arriva a Cavá. La missione si trova a quasi 2 ore da Namahaca nello stesso distretto di Memba, solo che, a differenza di Namahaca, Cavá era stata abbandonata in tempo di guerra (come residenza) dai padri e suore comboniani perché ritenuta troppo pericolosa. Difatti durante un assalto alla missione una delle suore era stata rapita dai guerriglieri e da quel momento , i padri prima e le suore poi erano stati ritirati da lì. La missione di Cavá quindi rimane abbandonata e assistita a distanza da Namahaca, dove i padri facevano la spola, nel limite del possibile, per accompagnare le comunità di questa missione.

Geograficamente Cavá è molto varia. La parte più a sud arriva all’oceano e ha la sede del distretto (Memba) formando un piccolo centro abitato con caratteristiche costruzioni coloniali ma rimaste come in tempo di guerra…cioè distrutte e diroccate. A parte poche case come l’ospedale, la casa dell’amministratore e la parrocchia tutto è rimasto come se la guerra fosse ancora in corso. A una prima vista sembra un luogo spettrale! Fuori da questo centro abitato, dove c’è pure un minimo di comodità (luce e telefono), la missione si spinge all’interno della savana come una grande lingua dove, più o meno al centro sorge la struttura della missione: Cavá. La missione si trova veramente fuori da tutto e in una zona davvero selvaggia dove in tempo di guerra moltissima gente aveva trovato rifugio dagli attacchi dei guerriglieri rifugiandosi in queste immense distese disabitate di savana. Finita la guerra molte persone sono tornate agli originari villaggi ma molte altre sono rimaste definitivamente in questo luogo definito anche la “sacca povera del Mozambico” per dire che è una delle zone più povere anche per causa delle scarse di piogge. La missione nonostante abbia meno comunità di Namahaca è molto più estesa come territorio e con comunità lontanissime una dall’altra e soprattutto con poche, o inesistenti, vie di comunicazione se non a piedi.

Dicevo cha la missione era stata abbandonata dai padri e suore, ma subito dopo occupata dai guerriglieri che l’hanno saccheggiata prima e incendiata poi. Quello che trova padre Ottavio quindi è una situazione di mancanza di strutture e una realtà di missione da ricostruire. Oltre ai “mattoni” a Cavá è mancato un accompagnamento delle 47 comunità che hanno dovuto cavarsela da sole. C’è stato un “buco” pastorale di vari anni! L’assistenza “a distanza” permetteva un accompagnamento sacramentale e poco più, quello che potremmo chiamare il SENSO COMUNITARIO è venuto meno per le circostanze difficili di guerra e fame. Teniamo presente che se la fame nella zona nord del paese è ciclica, qui possiamo dire che è quasi annuale e il “sopravvivere” diventa la prima e assoluta preoccupazione. Padre Ottavio, ha sì la sua diocesi alle spalle, ma sul campo è da solo! Non ha ne confratelli, ne suore che lo appoggiano. Vivere da solo e così isolato per tutti questi anni è davvero da “spirito missionario”!

Padre Ottavio ricostruisce da zero la missione di Cavá e fa nascere a Memba, sede del distretto, un convitto di studenti, perché qui si aprono le scuole superiori e tutte le classi inferiori. Qui i ragazzi che vengono da lontano vivono accolti in un ambiente sano e possono imparare un lavoro attraverso 2 piccoli laboratori di ferro e falegnameria. I ragazzi cha avrebbero bisogno di alloggio qui sarebbero centinaia e questa è solo una goccia (22 studenti quest’anno), ma come diceva Madre Teresa di Calcutta: “Se l’oceano non avesse questa piccola goccia sarebbe mancante di qualcosa e avrebbe una goccia in meno”.

Padre Ottavio fa diventare “forza lavoro” i tanti laici che vengono a visitarlo dalla Sardegna e, chi come muratore, chi come sarto, chi come falegname o elettricista mettono “mattone su mattone” e danno vita a quello che c’è oggi. Ho fatto un giro lungo e noioso ma ora arrivo! Già da circa due anni il vescovo di Tempio in Sardegna stava sollecitando padre Ottavio per rientrare, visto la scadenza del suo contratto (max 12 anni!). Ma per chi si ammala di “Mal d’Africa” è veramente difficile accettare questo tipo di ordini…. Cosi padre Ottavio era riuscito a prolungare un po’, ma si sapeva bene che era questione di qualche anno e niente più. Di fatti è arrivato il momento di rientrare senza possibilità di trattare e quindi di dare le sue dimissioni al vescovo di Nacala. A questo punto il vescovo di Nacala rimane con la “patata bollente” e non avendo preti diocesani sufficienti, ne ora, ne in un immediato futuro, ha chiesto aiuto a Namahaca, o meglio, a Verona.

Namahaca è legata a doppio filo a Cavá perché inizialmente era un’unica missione e poi perché durante tutta la guerra Cavà riceveva assistenza da Namahaca. Ecco quindi che era impossibile negare un aiuto a chi da sempre fa parte della famiglia! La proposta quindi arriva a noi, ma non come sorpresa o novità visto che era nell’aria già da un paio d’anni… Diciamo quindi che eravamo più o meno preparati. A questo punto arriva anche una seconda notizia-novità! Le suore comboniane di Namahaca sentendo parlare di suore veronesi in procinto di partire e essendo a corto di personale per le loro case decidono di chiudere la casa di Namahaca e spostarsi in altre missioni. Perdere le suore a Namahaca è paragonabile a perdere una mamma in una famiglia! Quasi in contemporanea arrivano le due date: 21 marzo partenza delle suore da Namahaca e 7 aprile partenza di padre Ottavio da Cavá. La situazione forza in campo è la seguente: don Alessio ha terminato il suo corso di lingua con settembre e da 3 mesi è fisso alla missione e può iniziare a prendere visione della pastorale quotidiana, la coppia di laici Emiliano e Lucia hanno ancora la valigia in mano, perché arrivati a novembre, e sono già alle prese con il convitto femminile di Namahaca che lasciano le suore! A Cavá non rimarrà nessuno per il passaggio di consegne, per cui c’è bisogno di prendere visione con la realtà prima che Ottavio parta perché è una missione completamente nuova che non si conosce, oltre che meno “impiantata” pastoralmente, come dicevo prima.

Con il buon senso e nulla più si decide che io che sono da più tempo a Namahaca e con un minimo di esperienza in più mi stacchi per entrare a Cavá. A questo punto siamo a fine dicembre, inizio gennaio e con l’anno nuovo inizio a “mettere il naso”, (quando sono libero dagli impegni di Namahaca!!!!), nella missione di Cavà. A partire da febbraio intensifico la presenza in tutti i fine settimana cercando di conoscere le varie comunità e problematiche presenti sfruttando ancora per un mesetto la presenza di P. Ottavio. Una volta partito non resterà più nessuno a passare le consegne e se questo è difficile in una parrocchia in Italia, immaginatevi qui, dove la parrocchia ha l’estensione di una diocesi e i problemi di almeno 3 diocesi messe insieme!!!

Con inizio aprile (Pasqua) sono definitivamente presente nella missione di Cavà. Ho usato questo giro di parole perché ancora non posso dire dove vivo perché non lo so neanch’io! Attualmente vivo, per così dire, “in tre letti a settimana” che a volte diventano pure 4.

Per la formazione e l’accompagnamento di alcuni ministeri e gruppi, aiuto ancora Namahaca, dove praticamente ho un incontro di 2 giorni quasi ogni settimana. Alcuni giorni poi vivo nella piccola ma funzionale residenza dietro la chiesa di Memba per accompagnare nelle attività e nella vita i ragazzi del convitto. Il fine settimana generalmente sono a Cavà (a 40 km da Memba e 60 km da Namahaca). In più ho pure qualche impegno diocesano che mi tiene fuori ogni tanto per qualche giorno per incontri vari… Capite che la noia non è di casa in questi ultimi mesi.

Ecco quindi che sono ritornato nuovamente solo, anzi, questa volta un po’ di più visto che prima avevo almeno le suore… Però ora non “sono nuovo” e in vantaggio c’è il rapporto con la gente che ora è molto più semplificato. I giovani del convitto poi sono speciali e mi aiutano un sacco in mille cose. Chiaro che questa non può essere la situazione definitiva perché è impensabile tentare un accompagnamento serio della pastorale in questo modo e anche riuscire a sopravvivere! Cavà quindi è in tutto e per tutto una seconda missione veronese in terra mozambicana distinta e autonoma da Namahaca. Questo è quello che si è deciso.

Le due missioni saranno portate avanti con 2 equipe autonome e con programmi e impostazioni autonome. Le due equipe, a detta dei nostri capi, dovranno avere 2 preti ciascuna e una presenza di laici e probabilmente di suore…. si vedrà! Quindi anche a livello diocesano a Verona il mio nome e purtroppo anche un po’ il mio cuore si stacca da Namahaca per legarsi a Cavà. Il salto dopo solo 3 anni è grande e come quando si lascia una qualsiasi parrocchia c’è sempre uno strappo affettivo, così pure una missione. Namahaca è stata la prima e quella che mi ha insegnato l’Africa e non la scorderò mai! Ogni volta che ci ritorno mi rimane dentro quella nostalgia profonda di chi sa che quello che si è costruito nel cuore con la gente non si cancellerà MAI PIU’! A questo punto, per non stancarvi troppo vi riassumo in 2 righe quello che sto facendo ora.

Il mio unico obbiettivo prima del mio rientro a luglio per le ferie è quello di visitare tutte le 47 comunità, in particolare le 25 in cui ci sono state divisioni, contrasti e scontri che le hanno un po’ allontanate. E’ un lavoro paziente ma che mi commuove ogni volta che in queste riunioni infinite si parla di fede con questo popolo. La fede che questa gente porta dentro è grande come le montagne. Sembra impossibile come il Vangelo si faccia strada negli angoli più sperduti di questa Africa…ore e ore a piedi o in moto per arrivare a piccolissime comunità dentro nella savana in totale clima mussulmano, ma in cui trovo persone che orgogliosamente si professano figli di Gesù Cristo. Mi commuove fino a strozzarmi le parole in gola il vedere la gente che arriva per un incontro o a prendere l’Eucarestia dopo 15-16 ore di strada con una notte passata nel cammino. Fede immensa! GRAZIE DIO!

Poi cerco di capire e fare lettura delle difficoltà che ci sono (e non mancano!) cercando di affrontarle una per una! Così pure nel convitto dei ragazzi ci stiamo costruendo insieme la nostra convivenza fatta di preghiera, lavoro, studio….calcio! Per la prima volta da quando sono qui vivo in casa insieme con questo popolo e la condivisione 24 ore su 24 è bella e permette di conoscere un sacco di cose. Insomma, è un ricominciare una nuova avventura e questo stimola il cuore, la fede e la mente. Ritengo che Dio mi faccia dei regali davvero immensi dei quali non sono degno. Che la sua infinita misericordia di Padre accompagni questa nuova, bella e immensa realtà di Cavà. Per quanto mi riguarda sono felice di essere suo strumento!

Non mi resta cha inviarvi il mio abbraccio e dirvi che se tutto va bene l’11 luglio dovrei atterrare in Italia e rimanerci fino a inizio ottobre. Sarà bello rincontrarci come fratelli e amici che sono stati divisi geograficamente ma non nelle fede e nell’affetto!!!Un abbraccio immenso e buona accoglienza del dono dello Spirito Santo nella festa di Pentecoste, dono che ci sprona “ad uscire” per gridare la novità di Gesù risorto!!

Pe Silvano

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